Le necessità che si sono avvertite negli ultimi anni di elezioni e governi tecnici italiani hanno riguardato soprattutto la vicinanza della politica alle ambizioni, ai desideri e ai bisogni degli italiani.
Per rispondere e parlare agli elettori, in questi tempi di crisi – e quando mai l’Italia non si è trovata in crisi dopo gli anni Settanta? – i partiti politici hanno fatto leva sulla paura per un futuro incerto, promettendo panacee economiche che si sono dimostrate più velenose che benefiche, o hanno individuato un capro espiatorio per catalizzare l’odio e le frustrazioni di una popolazione che continua a impoverirsi, a invecchiare, a vedere emigrare le eccellenze e le giovani forze, un Paese che si incattivisce.
La parabola discendente della vita politica si avverte prendendo in considerazione il linguaggio politico, i cui primi accenni di declino si erano avvertiti nell’ultimo periodo berlusconiano, quando è risultato cruciale lo “scendere a contatto con la gente”.
Si avverte una mancanza di vitalità di dialogo e di sottili strategie di comunicazione anche dal modo con cui titolano o inveiscono i diversi giornali. Non sembrano esserci più parole o espressioni argute per descrivere determinate manovre. Tutto ciò che si riesce a leggere è “populismo”, “inciucio”, “governo del cambiamento”, “prima gli italiani” usato come slogan. Gli articoli sono ridotti all’essenziale, i commenti si limitano a una farsa che rasenta il gossip e le conoscenze dei politici in materia di economia e amministrazione rendono più ardua la critica costruttiva e il percorso di miglioramento della situazione italiana.
L’arte del comunicare, bisogna ammetterlo, era stata spinta al suo apice da Silvio Berlusconi, quando il Cavaliere plasmava la realtà italiana, illudendo gli elettori circa una futura ripresa economica, un boom che avrebbe risolto qualsiasi crisi. La faceva facile, il Silvio, prima di scontrarsi con la dura realtà dei fatti.
Tuttavia, il suo lungo periodo di governo si spiega grazie al controllo capillare dell’informazione, con tre canali televisivi che ne decretarono il conflitto d’interessi, oltre alla capacità di saper “vendere” la propria figura, collegandola ai partiti politici o alle coalizioni di cui era diventato il volto.
Insieme alla capacità di saper investire in canali cruciali per la pubblicità della propria persona e della propria linea politica, Berlusconi era riuscito a mischiare in modo sottile sia un tono formale sia un tono più faceto, per mostrare all’elettorato non solo un volto “professionista della politica”, ma anche quello di un uomo comune. L’utilizzo della propaganda e della centralità rivestita dai mass media era stata sottolineata dal politologo tedesco Habermas che nel suo saggio Teoria dell’agire comunicativo evidenziava l’importanza della “razionalità discorsiva”, toccando le corde emozionali degli ascoltatori e rendendoli così più partecipi della vita politica, sfrondando i discorsi più accademici e di stampo tecnico.
Dall’epoca berlusconiana ad oggi i cambiamenti nell’arte di comunicare si sono susseguiti senza sosta e radicalmente: oltre ad attribuire maggiore importanza ai sondaggi, assecondando i desideri immediati e spesso poco lungimiranti dell’elettorato, per elaborare politiche in funzione di future elezioni (che significano poltrone e stipendi fissi garantiti, oltre alle immunità), il nuovo elemento che è stato introdotto sono stati i social network.
Il fattore social ha rivestito sempre maggiore importanza, i contatti tra politico e sostenitori si sono fatti più intensi, più diretti, grazie alla possibilità degli utenti di interagire direttamente con gli uffici stampa e i curatori dei profili social dei governanti.
In questo modo il linguaggio politico è stato spogliato delle sue sfumature più elevate, concentrandosi sul veicolare messaggi riguardanti anche (e soprattutto) la vita personale del leader del partito, per metterne in luce l’umanità, la semplicità, la vicinanza al popolo. Il leader non ha necessità di giocare la carta della preparazione negli argomenti su cui le sue azioni politiche agiranno, ma gli basterà puntare tutto sulla semplicità, sulle umili origini e sul suo stile di vita “normale”, per essere percepito dagli elettori come la persona giusta a guidarli, perché consapevole di quella che si crede essere “la vita vera”, la vita del Paese.
Da un punto di vista, le richieste di una politica più vicina alla popolazione sono una rivendicazione necessaria, poiché la politica è soprattutto partecipazione e l’uomo, come ricorda Aristotele, rimane uno zoon politikon, vale a dire un animale politico, nel senso che nell’uomo persiste la sua appartenenza al mondo animale, ma la cui necessità di aggregazione, partecipazione e senso di appartenenza a una società lo eleva a uno stato superiore rispetto a quello delle bestie.
D’altro canto, imprimere un determinato corso alle proprie scelte politiche per perseguire finalità elettorali e rispondere a specifiche richieste comunicative per riscuotere consenso, rende il politico schiavo degli umori della massa, ma con l’obiettivo di controllarla a propria volta, e facendo di lui (o lei) la persona più adatta a condurre una Nazione verso il baratro.
Hannah Arendt, ne Le origini del totalitarismo, identificava la massa come un elemento amorfo, in cui ogni individuo perde sé stesso e diviene più o meno volontariamente parte di un meccanismo che trova il suo apice nel totalitarismo e nell’alienazione del singolo. I caratteri salienti del totalitarismo sono la propaganda, il controllo totale e centralizzato delle istituzioni e delle dinamiche sociali, l’identificazione del Potere in un capo carismatico e nella riduzione dell’ordinamento giuridico all’arbitrio del capo.
Se l’elettorato diviene sempre più fanatico, identificandosi per disperazione nelle idee di un partito, e se sostiene le proprie idee con la forza del numero e con un supporto cieco al capo carismatico di turno, il gioco del Potere viene realizzato. Nella massa ogni singolo viene spogliato della propria individualità, trovandosi costretto a seguire il flusso degli eventi, divenendone schiavo, come fosse parte di un gruppo in cui ci si fa il lavaggio del cervello a vicenda, perdendo la propria autonomia decisionale e spingendo l’ideologia verso le proprie espressioni più estreme. La massa diviene forte perché ogni individuo al suo interno declina ogni responsabilità delle proprie azioni o idee, e giustifica gli errori che ne derivano con la forza del numero, con la consapevolezza di essere uno fra tanti, dimostrando la propria debolezza nei confronti della massa, ma la propria forza in quanto parte della massa stessa. L’impunità di certe idee o azioni dà vita a una rapida escalation di intensità e gravità di azioni e decisioni che la massa può compiere e assumere.
Si genera dunque un circolo vizioso in cui i leader di partito si trovano a dover alimentare la propria immagine, mettendo in pratica promesse spesso dannose su più fronti (politico, umanitario, economico), a scapito del benessere della massa che, irrazionale e conformata alle idee del leader, si pasce delle sue promesse e delle sue linee di governo spesso e volentieri suicide, perché cercano di rispondere con proposte sbagliate alle necessità di una massa spesso ingorda e pronta a prendere tutto senza cedere nulla.
Così nascono le crisi, così si alimentano, così ce ne si ciba per i propri interessi, illudendosi di veder tornare i tempi delle proverbiali vacche grasse, mentre queste dimagriscono ancora.
Intanto la politica italiana sembra aver smarrito l’etica che aveva guidato l’azione del governo all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando il dibattito si concentrava su ciò che doveva essere fatto per ricostruire il Bel Paese. Con il tempo, ed oggi forse in modo più marcato, i toni politici si sono abbrutiti, ad ogni dibattito viene conferito un aspetto spettacolarizzato, perdendo di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo di un dialogo razionale, basato su proposte strutturate e argomentate. Quello che manca è il dialogo, lo strumento utile per convincere della bontà e delle necessità di seguire, spesso, anche cammini impopolari, che agiscano sul lungo periodo in maniera incisiva e definitiva per risolvere annose problematiche. Ad oggi il dialogo viene limitato a una serie di botta e risposta da coppiette di fidanzati o a frecciatine e recriminazioni dal retrogusto adolescenziale, e tutto ciò che la politica riesce a mettere in campo sono proposte e manovre tiepide o contentini, che servono ad accaparrare in modo facile i consensi, sperando di far sopravvivere il partito fino al giorno dopo e senza mai trovare veramente la strada per operare il tanto sbandierato cambiamento.