Mondadori vi da appuntamento in libreria

Torna l’appuntamento con la casa editrice e le ultime uscite da non perdere

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Mondadori svela le ultime novità letterarie, presenti in libreria: una biografia su una Principessa ribelle, il ritorno di David Grossman.

«Civiltà» è da sempre un concetto delicato, da maneggiare con cura. Una categoria ambigua, controversa, spesso definita per contrapposizione: da una parte «noi», i civilizzati, dall’altra «loro», i «barbari», vale a dire tutti quelli che non condividono i nostri valori. Anch’essi, però, hanno una loro storia da raccontare e persino una loro idea di arte. In realtà, con il termine «civiltà» dovremmo intendere una pluralità di mondi che si confrontano e dialogano fra loro attraverso il linguaggio dell’arte. E che attraverso l’arte ci parlano.

Ma di cosa parlano le opere d’arte? Secondo Mary Beard, la grande classicista di Cambridge, al cuore della creazione artistica ci sono due questioni coinvolgenti e controverse: la rappresentazione del corpo umano e la raffigurazione della divinità. Dai colossali faraoni egizi di Luxor alle ceramiche degli antichi greci, dalla statua di Afrodite ai guerrieri di terracotta sepolti insieme al primo imperatore della Cina, la figura umana è la chiave per comprendere non solo la rappresentazione del potere e la definizione dei ruoli sociali, ma anche la sessualità, l’erotismo, la virtù morale e politica, i valori di una comunità. Al punto che una particolare rappresentazione del corpo, risalente alla Grecia classica, ha contribuito a fissare i canoni della bellezza e della perfezione formale con cui per secoli l’Occidente ha valutato le altre culture. La seconda questione riguarda invece la raffigurazione visiva del sacro, un dilemma che tutte le religioni – spesso in bilico tra vanità idolatra e furore iconoclasta – hanno dovuto affrontare, giungendo a soluzioni superbe e affascinanti, come testimoniano lo splendore delle immagini musive della basilica di San Vitale a Ravenna, la Moschea Blu di Istanbul o le pitture rupestri delle grotte di Ajanta, che ritraggono il Buddha in cerca dell’illuminazione.

Civiltà è un viaggio attraverso alcune delle pagine più emozionanti e meno note della storia dell’arte. Portando alla luce i tesori nascosti delle civiltà antiche, Mary Beard guarda oltre il canone tradizionale dell’immaginario occidentale e si rivela una guida preziosa per educare lo sguardo.

Leggere è uno dei più piacevoli vizi solitari, in grado di farci ricordare, immaginare, commuovere con un’intensità che prescinde da dove lo si fa (a letto o su un treno) e quando; Italo Calvino sosteneva che quando leggi, «il tempo sei tu che lo decidi». I grandi autori, da Dante a Flaubert, da Tolstoj a Proust, da Kafka a Joyce, attraverso i loro privilegiati punti di vista, potenziano la nostra percezione e il nostro sguardo, e così ci insegnano a guardare il mondo con occhi nuovi.

Per questo Leonardo Colombati, scrittore, critico letterario e docente di scrittura creativa, ci prende per mano e ci conduce in un percorso di rilettura e analisi delle opere di genio, indagando – dal «principio» «alla fine» – le componenti essenziali della creazione letteraria: la definizione dell’io, in apparenza quello dei personaggi, in realtà quello del romanziere e, sorprendentemente, anche del lettore; l’utilizzo multiforme della parola che va a comporre la voce del narratore (o, per meglio dire, «l’illusione di una voce»); la creazione dei personaggi, alcuni dei quali sono diventati veri «caratteri», come Don Chisciotte, Falstaff, Anna Karenina o Lolita, e che alla fine sono riconducibili a due grandi categorie, gli Ulisse («con la sua barba e la cicatrice») e gli Amleto («con la sua calzamaglia e il teschio»); la gestione del tempo, così compresso nei libri rispetto a quello che sperimentiamo nella nostra vita e, diversamente da quanto succede nel mondo reale, capace di procedere in avanti e all’indietro a piacimento dell’autore; e poi l’amore, unico vero tema poetico. E come non soffermarsi sul ruolo della memoria, dalle madeleines proustiane al racconto di Ulisse alla corte dei Feaci, e sul potere curativo della lettura?

Corredando la trattazione con esempi tratti dai più grandi romanzi della letteratura mondiale, Colombati compone così una personale biblioteca ideale, cui attingere in cerca di ispirazione e spunti di riflessione e tramite cui gli autori ci parlano e ci ascoltano, in un dialogo costante tra narratore, lettore e personaggi.

Il 4 novembre 1980, con un risultato schiacciante, gli americani eleggono presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. È una valanga: Ronnie, come lo chiamano gli amici, vince in 45 Stati su 50; per il presidente uscente, il democratico Jimmy Carter, che chiedeva la rielezione, è un’umiliazione. Nonostante i numeri, l’ascesa di Reagan alla Casa Bianca è stata accolta con stupore: un ex attore di Hollywood, molto noto al pubblico televisivo, che assumeva la guida della più grande superpotenza planetaria? Si trattava di un azzardo pericoloso o di un evento in anticipo sui tempi?

Quella di Ronald Wilson Reagan, in realtà, è una storia tutta americana. Nato a Tampico nel 1911, all’epoca una minuscola cittadina dell’Illinois, il piccolo «Dutch» – come viene soprannominato in famiglia per le linee paffute del volto – cresce nella regione geografica che è il cuore pulsante della nazione a stelle e strisce, il Midwest. Il padre è un cattolico irlandese senza un lavoro stabile e con il vizio dell’alcol, la madre una donna religiosissima, devota alla Chiesa dei discepoli di Cristo. Dopo la laurea in economia, Reagan approda a Hollywood quasi per caso e fa una discreta carriera nel mondo del cinema, fino a quando non scopre l’importanza dell’impegno politico, prima in qualità di presidente del sindacato degli attori (Screen Actors Guild) e poi come governatore della California dal 1967 al 1975 nelle file del Partito repubblicano, lui che da giovane aveva avuto simpatie per il democratico Roosevelt. La scalata al Grand Old Party era ormai tracciata.

A quarant’anni dall’insediamento di Ronald Reagan alla Casa Bianca, Gennaro Sangiuliano dedica al presidente più popolare dell’America moderna una biografia dettagliata e avvincente, piena di informazioni, notizie e aneddoti.

Se oggi gli anni Ottanta del Novecento sono ricordati come una stagione felice di benessere e di prosperità economica, lo si deve proprio a quella spinta di ottimismo, di pragmatismo e di modernizzazione che Reagan seppe imprimere agli Stati Uniti e di conseguenza a tutte le nazioni industrializzate dell’Occidente.

Da sempre la presenza di David Grossman sulla scena internazionale va oltre i suoi romanzi: i suoi saggi e interventi su politica, società e letteratura sono ormai diventati un punto di riferimento ineludibile per tantissimi lettori ai quattro angoli del mondo.

“La situazione è troppo disperata per lasciarla ai disperati” sostiene. La dimensione personale che è al centro della sua narrativa è indissolubilmente legata a quella politica. Ed è per questo motivo che, nei saggi e nei discorsi che compongono questo libro, Grossman non si limita ad analizzare la situazione di Israele cinquant’anni dopo la Guerra dei Sei Giorni, a descrivere le conseguenze dell’impasse politica in Medio Oriente o dell’abbandono della letteratura nell’era post-fattuale, o a parlare di Covid, ma finisce sempre per raccontarci qualcosa della sua esperienza personale. Questa appassionata e lucida difesa dei valori della libertà e dell’individualità, la strenua opposizione a disfattismo e disimpegno prendono corpo in questi testi, che faranno certamente breccia nelle menti e nei cuori dei suoi lettori.

Ad accoglierci tra le pagine di questo romanzo è una donna, una scrittrice, che dopo essersi sentita ai margini per molti anni ha finalmente conosciuto il successo. Vive un tempo ruggente di riscatto, che cerca di tenersi stretto ma ogni giorno le sfugge un po’ di più. Proprio come la figlia, che rifiuta di parlarle e si è trasferita lontano.

Combattuta tra risentimento e sgomento per il tempo che si consuma la coglie Federica, la più cara amica del liceo, quando dopo trent’anni torna a cercarla. E riporta nel suo presente anche la sorella maggiore Livia – dea di bellezza sovrannaturale, modello irraggiungibile ai loro occhi di sedicenni sgraziate -, che in seguito a un incidente è rimasta prigioniera nella mente di un’eterna ragazza.

Come accadeva da adolescenti, i pensieri tornano a specchiarsi, a respingersi e mescolarsi. La protagonista perlustra il passato alla ricerca di una verità, su se stessa e su Livia, e intanto cerca di riafferrare il bandolo della propria esistenza ammaccata: il lavoro, gli amori.

Livia era e resta un mistero insondabile: miracolo di bellezza preservata nell’inconsapevolezza? O fenomeno da baraccone? Avvolti nelle spire di un’affabulazione ammaliante, seguiamo la protagonista in un viaggio che è insieme privato e generazionale, interiore e concreto. E mentre lei aspira a fermare l’attimo per non perdere la gloria, la sorte di Livia è lì a ricordare cosa può succedere se la giovinezza si cristallizza in un presente immobile: una diciottenne nel corpo di una cinquantenne, una farfalla incastrata nell’ambra.

New York, 1991. Rosa Kusstatscher ha costruito un impero della moda sul suo gusto squisito e la capacità di indovinare l’abito perfetto per ogni occasione. Ma stasera, mentre si prepara per l’incontro più importante della sua vita, l’usuale sicurezza vacilla. Si sforza di trovare il vestito adatto e scegliere la giusta tonalità di rossetto e, nel farlo, inizia a raccontare la sua vicenda straordinaria. La storia di una povera ragazza di montagna, originaria di un piccolo villaggio del Sud Tirolo. Dell’occupazione nazista e della fuga dall’Italia di notte. Della speranza e del dolore straziante in Svizzera; del glamour e dell’amore a Parigi; dell’ambizione e della perdita a Rio de Janeiro; del successo e della scoperta di sé a New York. Una vita passata a correre, solo adesso Rosa se ne rende conto. È una donna che ha conquistato il mondo. Ma a quale prezzo?

In parte ispirato alle vicende della madre e della nonna dell’autrice, La sarta di Parigi è un avvincente romanzo storico che racconta la vita avventurosa di una donna forte e affascinante e che, tra eventi epocali, amori e protagonisti indimenticabili, accompagna il lettore attraverso i continenti e cinquant’anni di storia del Novecento.

Viziata, spiritosa, disillusa e annoiata, sexy, civettuola, infelice, generosa e sfortunata. Ma anche cinica, lunatica, eccentrica, alla moda. E ancora: «Venere tascabile», «Nano Reale», «cavallo perdente», «dama di pantomima», «Cenerentola al contrario»… Non appena sua altezza reale la principessa Margaret contessa di Snowdon abbandonava la scena, nei diari dei suoi amici – che fossero intellettuali squattrinati, sussiegosi aristocratici o sguaiati membri del jet set internazionale – fioccavano le battute salaci, i giudizi, le allusioni. Le sue opinioni maldestre e le sue frasi arroganti venivano puntualmente registrate, mentre la sua straordinaria capacità di dire sempre la cosa sbagliata, il desiderio di risultare sgradevole, il malcelato piacere di tormentare i confini del proprio rango diventavano immancabilmente materiale prezioso per un’aneddotica da affidare, se non proprio alla Storia, almeno a un libro.

Ma chi era davvero la principessa Margaret? Ossessione erotica di artisti e scrittori, icona del glamour degli anni Sessanta, emblema della Swinging London, Margaret era, prima di tutto – o dovremmo dire: soltanto -, la «sorella minore» della regina Elisabetta II: non un semplice dato biografico, ma una condizione esistenziale, uno stato d’animo, uno specchio in cui cercare se stessi per tutta la vita. Una condanna. Agli incarichi ufficiali privi d’importanza, al talento misconosciuto, ai capricci dell’opinione pubblica, a un’identità definita sempre in negativo. Margaret era quello che Elisabetta non doveva o non poteva essere. Il contrario della perfezione, del grigiore e della monotonia. La sorella ribelle, indisciplinata, cattiva. La caricatura della regalità. Sempre fraintesa, spesso derisa. Ma in quale altro modo sarebbe potuta sopravvivere a una vita in caduta libera, ogni giorno più lontana dal trono e dal ruolo per i quali, in cuor suo, si sentiva tagliata?

«La storia insegna che ogni ribellione è il desiderio ardito di detronizzare i tiranni che opprimono. Ri-bellarsi, per me, è avere voglia di “tornare al bello“.» Per essere di nuovo belli, «ri-belli» appunto, è necessario partire da qui. Con questo proposito Giulio Dellavite torna alla scrittura completando idealmente il percorso iniziato con il suo libro precedente, Se ne ride chi abita i cieli. E lo fa concentrando lo sguardo all’interno del nostro corpo, poiché si è reso conto di come ci sia bisogno di «un’ecologia umana integrale», di fatto una «ego-logia», per combattere l’inquinamento interiore che ci opprime, ci rende infelici o ci fa perdere la strada.

Nasce così un viaggio dentro se stessi, per un’ecologia della propria testa, della pancia, delle mani, del passo che ogni scelta fa fare, da cui emerge il bisogno di ripensare la struttura societaria quotidiana fatta di famiglia e di team, di coppie e di single, di affetti e lavoro, di sogni e paure, di progetti e fallimenti, di opportunità e criticità, di amore e di odio. L’esperienza drammatica della pandemia ci ha fatto mancare il fiato, perciò serve la voglia e il coraggio di «tornare al bello». In questo libro ci prova una donna, distinta e brillante, che riflette e pone domande. Ci troviamo sulla carrozza di un treno dove, fermata dopo fermata, salgono a bordo le personificazioni delle nostre parti del corpo. Ecco allora la famiglia del Signor Testa, con la madre Bocca e i tre figli Vista, Udito, Naso; poi la PANCIA (Progetto Atletico New-Educational: Calcio Incontro & Agonismo) che con la sua complessità energetica si presenta come una squadra di calcio con i suoi undici giocatori: Cuore, che è il capitano, i due Polmoni, i due Reni, poi Stomaco, Milza, Fegato, Intestino, Ombelico e Pudenda. Salgono quindi le mani, Dexter e Sinny, una coppia felice grazie al loro tenersi e mantenersi, supportarsi e sopportarsi. Per ultimo, la nostra protagonista incontra un single, il piede, nei panni del signor Passo, perché si può fare solo un passo per volta. Da questa intensa catena di incontri, scambi e dialoghi nasce un libro spiritoso, nel duplice senso di divertente e spirituale. Non ci resta quindi che metterci comodi e seguire l’autore in questo viaggio alla scoperta del nostro corpo, perché «fidarsi è bene, ma ribellarsi è meglio».

Cristina Izzo

Press Office, Press Reviewer, Web Content Creator, Collaborator for LaTuaNotizia,

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