Lucio Cascavilla e Mauro Piacentini, rispettivamente scrittore e regista, hanno dato vita al progetto The years we have been nowhere, documentario che approfondisce il tema dei deportati dalle nazioni “occidentali” ai loro paesi di origine, nello specifico la Sierra Leone.
Ad accompagnarli nello sviluppo del progetto vi sono professionisti da tutto il mondo, come Mike Duff (videomaker australiano con oltre 15 anni di carriera e collaborazioni con BBC, ABC e Al Jazeera), Olivia Godding (modella e attrice, adesso è imprenditrice di successo a Freetown e comparirà nelle vesti di testimone nel documentario, in quanto migrante), Roberto Sommella (video-editor), Nina Krajcinovic (giornalista della testata slovena DELO, specializzata in tematiche socioculturali), Markadams Kamara (emigrato dalla Sierra Leone negli Anni Novanta, installato in Europa per essere deportato nuovamente nel suo paese d’origine, dove si è dedicato all’attività teatrale per occuparsi adesso di contabilità), Antonio Rignanese (digital strategist) e Nino Corica (agente specializzato in comunicazione per la Commissione Europea a Bruxelles, collabora al progetto come sceneggiatore, traduttore e communication strategist).
Il documentario offre uno spaccato di una realtà poco conosciuta e non trattata approfonditamente, soprattutto dai media italiani: le deportazioni forzate di emigrati radicati in Europa e USA verso la Sierra Leone, o altre Nazioni africane.
“Spesso le motivazioni soggiacenti all’estradizione sono di carattere burocratico, a volte legale, altre volte aleatorie, ma pur sempre disumane” spiegano i creatori del documentario, “Si tratta di vere e proprie condanne dettate, oltre che da una kafkiana interpretazione della legge, anche da una totale assenza di rispetto dei diritti umani. Sono uomini e donne separati dalla famiglia che avevano creato, dai figli, dai mariti, dalle mogli, da quell’esistenza serena e rassicurante della quale nessuno può fare a meno”.
“Ma questo è solo l’inizio del dramma”, continuano a spiegare, “una volta rientrati in Sierra Leone, queste persone sono marginalizzate, escluse, etichettate come falliti perché agli occhi di tutti, dato che hanno sprecato l’opportunità di cambiare in meglio la propria vita in Paesi in cui questo sarebbe stato possibile”.
Come spiegato dallo staff del progetto, appare evidente una violazione dei diritti umani che, oltre a scomporre la sicurezza e la vita di uomini e donne, che avevano trovato il loro posto nel mondo ed erano riusciti a mettere le proprie radici in nuovi contesti più solidi e promettenti per le loro esistenze, lascia avvertire il peso del pregiudizio che si respira sia negli ordinamenti giuridici dei Paesi occidentali, sia nelle società di destinazione di queste “neo-deportazioni” che stigmatizzano ed escludono le vittime di queste ingiustizie che si consumano a livello internazionale.
Per questo motivo lo staff vuole dare voce alle esperienze di Patrick, Suleyman, Madame Manseray e di tutti gli altri sfortunati protagonisti di queste vicissitudini.

L’ambizioso progetto di documentazione e denuncia porterà lo staff a effettuare le riprese in Africa e in Europa, alla ricerca di altri interpreti come gli addetti all’immigrazione, gli avvocati dei migranti o i nuclei familiari non deportati ma che restano, tristemente, mutilati di una persona cara.
Il progetto, nato con auto finanziamento vuole tentare di sviluppare al meglio le potenzialità narrative e multimediali del prodotto finale, e per farlo sta puntando su una campagna di crowdfunding, che si può trovare cliccando qui. Per ulteriori informazioni, è stato inoltre approntato il sito internet e appositi profili social (Facebook, Instagram, Twitter).