Fondi UE in Italia: rischio di tagli da parte di Bruxelles

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Le forze nazionaliste e antieuropeiste hanno sempre proclamato la colpevolezza o la negligenza europea circa determinati temi, e additando sempre il paventato strapotere dell’Unione Europea che avrebbe corroso l’auspicabile autonomia gestionale dei singoli Stati.

Queste forze hanno fomentato l’odio e la sfiducia nelle istituzioni comunitarie adducendo come giustificazione un ipotizzato disimpegno dell’UE nell’equilibrare le economie dei Paesi membri.

Ma cosa accade quando i singoli Stati, in cui si osservano sfiducia e spesso astio nei confronti dell’Europa, non sanno o non vogliono utilizzare gli ingenti aiuti erogati dalla tanto vituperata UE?

È il caso dell’Italia, da sempre nel mirino delle politiche per il sostegno allo sviluppo e alla crescita economica, a causa delle più deboli e sempre più povere regioni del Mezzogiorno, che avvertono in modo sensibile l’emorragia di giovani competenze, costrette ad emigrare in paesi UE o extra-europei.

Marc Lemaitre, direttore generale per la Politica regionale della Commissione UE, ha dichiarato che gli investimenti nel meridione d’Italia “sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola UE dell’addizionalità”.

Il principio dell’addizionalità prevede che, per garantire una crescita equilibrata, i fondi UE non sostituiscano né costituiscano fondi di spesa pubblica, ma che rappresentino solo un valore aggiunto alle politiche economiche poste in essere dalle istituzioni nazionali.

Secondo l’accordo siglato tra Italia e UE per il 2014-2017, i tassi di investimento passano allo 0,38%, partendo da un 0,40% del periodo 2014-2016, nonostante il trattato richiedesse un investimento dello 0,47% da parte dello Stato italiano.

Per il periodo 2014-2020, l’impegno dell’Italia è quello di investire lo 0,43% del bilancio nel Mezzogiorno.

La Commissione Europea chiede quindi al governo dello Stivale di attuare misure che possano sostenere un miglioramento negli standard del sud Italia. Nel caso di mancato rispetto dei limiti previsti, l’UE sarebbe costretta a invertire la tendenza di sovvenzionare l’Italia, con una “rettifica finanziaria”, vale a dire tagliando di fatto i fondi destinati a questo Paese.

Non conosco nessun altro Paese che ha una situazione così debole”, ha dichiarato Lemaitre, aprendo i lavori della Settimana europea delle città e delle regioni. “Gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno”, per poi aggiungere, “questo è legato anche alla capacità amministrativa, ma siamo certi che con un’attenzione adeguata dedicata a questo campo potrebbero esserci molti investimenti pubblici in più al Sud. E allora, forse, cominceremmo a fare la differenza”.

A quanto pare, le dichiarazioni di Lemaitre sono illuminanti circa la capacità di Stato e Regioni di gestire i fondi europei, che costituirebbero una risorsa nevralgica per il rilancio dell’economia meridionale. Tuttavia questo strumento sembra essere utilizzato male o addirittura negletto dalle stesse istituzioni, che sembrano non operare campagne di informazione per mettere al corrente la cittadinanza, le associazioni o le imprese delle notevoli opportunità offerte dall’Unione Europea.

Specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, è il caso di chiedersi, dove siano finite le promesse elettorali urlate che prevedevano un maggiore risalto allo strumento dei fondi UE. E dove sono finite le idee di adibire spazi appositi all’interno dei palazzi istituzionali per garantire adeguata informazione e supporto amministrativo per la presentazione di idee e nuove progettualità per il rilancio economico del Meridione?

Attualmente, sembra che tutto ciò si sia rivelato, come sempre, della solita consistenza delle promesse elettorali.

Antonino Mangano

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