Il giudice Rosario Livatino è stato proclamato beato. Nel corso di una cerimonia solenne celebrata ieri 9 maggio nella cattedrale di Agrigento, presieduta dal cardinale dal cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, per il “giudice ragazzino“, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, è stato confermato anche il martirio. La sua festa verrà celebrata ogni 29 ottobre.
Una data simbolica quella scelta per la beatificazione del magistrato Livatino. Ieri ricorreva infatti l’anniversario di quel celebre discorso che Papa Giovanni Paolo II pronunciò ventotto anni fa nella Valle dei Templi: «Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!»
L’uccisione di Rosario Livatino. «Picciotti, che cosa vi ho fatto?»
Era il 21 settembre 1990. Il giudice Rosario Livatino stava percorrendo la statale SS640 per recarsi da Canicattì al Tribunale di Agrigento, dove lo attendeva un processo a carico di alcuni mafiosi di Palma di Montechiaro. Senza scorta perché, diceva, “non voglio che altri padri di famiglia debbano pagare per causa mia”.
La sua auto, una Fiesta color amaranto, venne speronata da un commando mafioso della “stidda” agrigentina. Il magistrato tentò una fuga attraverso i campi, ma era già stato colpito ad una spalla quando i quattro sicari lo raggiunsero, freddandolo a colpi di pistola e sfigurandolo in volto. «Picciotti, che cosa vi ho fatto?» è stata la domanda rivolta dal giudice ai propri assassini prima di morire.
Il beato martire Rosario Livatino
Il giudice Livatino era un uomo profondamente cattolico, di grande fede. I suoi valori non gli hanno permesso di scendere a patti con chi avrebbe voluto corromperlo, comprare il suo silenzio, la sua compiacenza. Per questo dalla mafia era chiamato con disprezzo “santocchio”.
È stato proclamato martire per la sua abnegazione al lavoro e la sua profonda fede cattolica. Secondo le autorità vaticane il suo delitto può essere riconducibile all’odium fidei (in odio della fede). Proprio per la sua religiosità i mandanti avevano pianificato l’omicidio dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento.
«Il compito del magistrato è quello di decidere — scrive il giudice Livatino nel 1986 — Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio».