Willy Monteiro Duarte è un nome tristemente noto, che verrà ricordato per la spietata violenza con cui, ancora oggi, nel 2020, un giovane di 21 anni può perdere la vita per ‘futili motivi’. È una responsabilità sociale, un compito di tutti noi, interrogarci sul perché questi giovani abbiano smesso di credere che per risolvere un’incomprensione si possa dialogare serenamente, ci si possa scambiare un punto di vista, ci si possa confrontare umanamente
Marco e Gabriele Bianchi, due fratelli di 24 e 26 anni, hanno pestato Willy con la complicità di altri due ragazzi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia. Nei loro confronti è stata formulata l’accusa di omicidio preterintenzionale in concorso. E, da quello che si apprende dalla stampa nazionale, i quattro aggressori avrebbero scelto di non parlare.
Ed è quella che tutto sommato può apparire come la scelta più saggia in questo momento. Perché non si può proprio spiegare a parole quale assurda follia possa indurre ad ammazzare con calci e pugni un coetaneo. Non si può motivare in alcun modo questa crudeltà. Perché non ha MOTIVAZIONI. Non ce ne sono né mai esisteranno.
La ‘colpa’ di Willy è quella di non essersi defilato, di non essersi voltato da un’altra parte vedendo una rissa. Il giovane ha deciso di intervenire per provare a sedare quella violenza inaudita, divenendo a sua volta una vittima.
E no, non possiamo infiaschiarcene nemmeno noi. Sapete perché? Perché quello che è accaduto a Piazza Oberdan, a Colleferro, è un pericolo che corrono tutti i nostri figli quando decidono di trascorrere una serata fuori con gli amici.
E no, non c’entra il colore della pelle, la nazionalità: ho scelto appositamente di non specificare le origini di Willy. Che importanza riveste questo dettaglio? Non siamo forse tutti uguali di fronte a vicende del genere?
Credete che queste assurde ingiustizie possano capitare solo a poche persone? E secondo quale criterio? Oppure ci pesa che i ‘cattivi’ siano italianissimi…
La parola di questo lunedì è INDIGNAZIONE. Perché stiamo crescendo generazioni senza valori, senza amore per la vita. Sono ragazzi che praticano la violenza come uno sport ed espongono i crimini che commettono come trofei.
L’allarme, nel quartiere, pare fosse evidente già da tempo. Secondo le interviste rilasciate da chi ci vive, a Colleferro, la tragedia era dietro l’angolo. Perché non si riesce a evitare il peggio? Perché prima di capire che la nostra società è pericolosa dobbiamo aspettare che ci scappi il morto? Dobbiamo lasciare che esistano figure come i ‘picchiatori di professione’ e che girino indisturbate a scatenare il terrore?
Sono tante le domande che ci attanagliano in queste ore, insieme allo sgomento e al dispiacere per Willy e per la sua famiglia.
Ma apriamo gli occhi. È una responsabilità sociale, un compito di tutti noi, interrogarci sul perché questi giovani abbiano smesso di credere che per risolvere un’incomprensione si possa dialogare serenamente, ci si possa scambiare un punto di vista, ci si possa confrontare umanamente. È anche responsabilità nostra se ci sono giovani che si credono onnipotenti a tal punto da picchiare a morte un coetaneo.
È dalle famiglie e dalla scuola, o da ogni ente che abbia una prerogativa educativa nei confronti dei bambini e degli adolescenti, che deve partire l’interesse, o meglio, il bisogno primario, di bandire ogni forma di violenza fisica e psicologica, a favore di un libero dialogo.
Perché sono certa che nessuno di noi vorrebbe vivere e vorrebbe che i propri figli vivessero in un ambiente del genere. Ma per far sì che questo ideale di ‘pace’ possa affermarsi c’è qualcosa di più importante da fare: non dobbiamo dimenticare Willy e gli altri ragazzi morti allo stesso modo. Lo sgomento che ci suscitano certi fatti di cronaca deve servire a suscitare un’azione concreta, un impegno VERO, duraturo nel tempo. Non servirà a nulla scrivere fiume di parole per pochi giorni, forse un mese, per poi riprendere a vivere come se nulla fosse.
Ciao Willy, grazie per esserti esposto, perché credevi che la violenza sotto i tuoi occhi fosse ingiusta e hai provato a fermarla, perdendo la tua stessa vita.