L’evento universalmente riconosciuto come centrale nel settore dell’editoria italiana, il Salone Internazionale del Libro di Torino (o SalTo), anche quest’anno non lesina scandali, colpi di scena e problematiche che rendono più piccante la storia della sua 32° edizione.
Sebbene dal sapore qualunquista, la riflessione sulla capacità della politica “elettorale” di rovinare ogni contesto nel quale si insinua per vie dirette o indirette ritorna ad essere spiacevolmente attuale.
Per questa nuova edizione del SalTo, l’organizzazione ha concesso uno spazio espositivo ad Altaforte, casa editrice legata al partito neofascista CasaPound e che per l’occasione promuoverà il libro del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, Io sono Matteo Salvini.
Le proteste
Le proteste non hanno tardato ad investire il ricco e interessante programma del SalTo, che si troverà impoverito dall’assenza del noto fumettista italiano Michele Rech, in arte Zerocalcare; di Carlo Ginzburg, storico, saggista e accademico italiano; dell’autore Christian Raimo, che ha deciso di prendere parte al SalTo solo come visitatore, dimettendosi da consulente del direttore del Salone, Nicola Lagioia; di Wu Ming, il noto collettivo di autori bolognesi.
Zerocalcare, dalla sua pagina ufficiale su Facebook, spiega così le motivazioni che lo hanno spinto a prendere questa combattuta e drastica decisione.
Mentre Christian Raimo, dal suo profilo Facebook, dichiara: «Ogni spazio pubblico è oggi un luogo di battaglia, culturale, politica, civile, antifascista. Io andrò al Salone del libro di Torino, non più da consulente: la ragione per cui mi sono dimesso è che non voglio la presenza di editori dichiaratamente fascisti o vicini al fascismo – penso che il Mibac, ossia lo stato, debba tutelare questo diritto per tutti, e proteggere il Salone da ogni ingerenza fascista; penso che l’Aie e l’Adei, ossia le associazioni degli editori, debbano affrontare radicalmente questa questione», per poi continuare, «Ma ci andrò soprattutto per parlare, discutere, ascoltare, e contestare. Ogni anno che sono andato al Salone sono tornato un po’ più ricco, quest’anno sono convinto che accadrà ancora di più, forse perché è ancora più evidente che i luoghi della cultura devono essere presidi contro il fascismo, sono anche e molto sempre spazi di crisi e di conflitto, che sono il fondamento di ogni civiltà. E tutto questo deriva non solo dalla qualità del programma ma da quella straordinaria comunità democratica e politica che è la repubblica dei lettori. Ogni spazio pubblico è oggi un campo di battaglia. Ci vediamo a Torino, sono tempi interessanti.»
Se da un lato la battaglia contro il ritorno neofascista si combatte con la resistenza passiva, annullando i propri impegni con il Salone del Libro, Michela Murgia, autrice, giornalista e irriducibile avversaria di Matteo Salvini e delle forze neofasciste, lancia l’hashtag #ioVadoaTorino. La Murgia sosterrà una lotta culturale senza quartiere, fronteggiando faccia a faccia l’espressione del pensiero fascista di Altaforte e CasaPound. A sostegno di questo impegno culturale si sono schierati anche il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e il Sindaco di Torino Chiara Appendino, anche loro dichiaratamente antifascisti e sostenitori del Salone del Libro di Torino.
La risposta e la conclusione
Il dialogo tra le due compagini non si è esaurito, ma si è alimentato con la risposta dell’imprenditore Francesco Polacchi, proprietario della casa editrice Altaforte, militante e coordinatore regionale della Lombardia di CasaPound.
Le dichiarazioni di Polacchi rilasciate all’Ansa: «Io sono fascista», per poi continuare «L’antifascismo è il vero male di questo Paese». Polacchi rincara la dose, sostenendo le sue posizioni politiche: «Ritengo che il fascismo sia stato assolutamente il momento storico e politico che ha ricostruito una nazione che era uscita perdente e disastrata dalla Prima Guerra Mondiale. Ha trasformato una nazione che era prevalentemente agricola in una potenza industriale. Anche con la dittatura? A volte servono le maniere forti.»
Polacchi conclude affermando: «Il problema dell’Italia sembra essere Casapound, mica la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. Casapound, lo ribadisco, esiste perché siamo in una democrazia».
Per queste sue affermazioni, la Città di Torino e la Regione Piemonte hanno presentato un esposto alla Procura di Torino contro il trentatreenne Francesco Polacchi, con l’accusa di apologia di fascismo.
Proprio ieri, invece, è giunta dall’organizzazione del Salone Internazionale del Libro di Torino la decisione di escludere Altaforte dalla rosa degli editori presenti all’evento. Questa decisione è stata salutata da molti come una vittoria della cultura e della difesa della democrazia nostrana.
Il nodo gordiano della Libertà d’espressione
La vicenda ha messo in luce il volto di un’Italia impaurita e inconsapevole, che sembra avere ignorato bellamente la sua storia, i rischi, la paura e gli orrori che sono stati compiuti in nome di un vagheggiato bene superiore, nel nome di una Nazione forte, che poi tanto forte non lo è stata né si è dimostrata.
L’idea di un cieco revisionismo storico fascista, il proposito di credere nella bontà di una dittatura, di un nuovo Duce, mettono in luce l’incapacità dei cittadini di comprendere l’importanza della salvaguardia della libertà personale, dei diritti fondamentali della persona, che sarebbero messi in pericolo dall’arbitrarietà di un potere forte, totalitario, come quello che si è manifestato durante il Ventennio.
La Legge Scelba (legge n. 645 del 1952) aveva cercato di cancellare dall’orizzonte politico italiano l’idea di rifondare e di riproporre l’esperienza fascista in un Paese che ne risultò dilaniato, al netto di tutte le mistificazioni, delle falsità storiche e delle leggende metropolitane che cercano di dare credibilità all’efficienza fascista.
La Legge Scelba condannava al suo articolo 4 l’apologia di fascismo, mettendo in pratica la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana.
Tuttavia, queste norme dell’ordinamento italiano sembrano essere state costantemente disattese, come nel caso di Giorgio Pisanò, membro del MSI (Movimento Sociale Italiano) e fondatore del Movimento Fascismo e Libertà del 1991, per la cui costituzione venne condotto in tribunale, ma prosciolto, grazie a un cavillo giuridico: la legge affermava che sarebbe stata punita la ricostituzione di un partito che mirasse al ritorno di una dittatura fascista ma, in questo caso, non sembrava sussistere questa minaccia.
La Legge Scelba è stata da sempre oggetto di attacchi da parte dei nostalgici del fascismo, quasi come a testimoniare che la società italiana sia rimasta ancorata a una retrograda retorica che vede contrapporsi comunismo e fascismo, entrambe espressioni di un tempo di ideologie che si sono dimostrate inefficienti, pericolose per gli individui e che, di conseguenza, hanno fallito nella loro idea pianificatrice e accentratrice di creare un mondo migliore, secondo le loro ideologie distorte della realtà, dell’economia, di ogni senso di umanità e di libertà.
Tuttavia, considerando la vicenda giuridica del nostro Paese in un’ottica di filosofia politica, potremmo chiederci quali siano i rischi legati alla Legge Scelba e quali ripercussioni potrebbe avere sul futuro del diritto di espressione in Italia.
Se la Legge Scelba parte da presupposti corretti – evitare il ritorno di un regime dittatoriale fascista -, si potrebbe sindacare sull’effettivo rispetto della libertà di espressione che, in questo modo, verrebbe esclusa per tutti coloro che volessero esprimere una loro idea politica. Questa restrizione alla libertà di espressione e manifestazione potrebbe costituire un precedente affinché, per motivazioni di ordine pubblico, nuove restrizioni vengano imposte a questo diritto e verso altre categorie di persone.
In poche parole, in un’ottica di avversione e di lotta al fascismo, si potrebbero offrire precedenti per ulteriori limitazioni alle libertà di espressione, parola e manifestazione, riducendo lo spettro delle libertà individuali, macchiandosi così dello stesso errore delle istituzioni fasciste.
Bisogna infatti tenere sempre presente che la minaccia della censura, delle restrizioni alla libertà di espressione in ogni sua forma, possono manifestarsi in qualsiasi contesto statale, anche in quello ritenuto più libero e attento alle garanzie contro limiti arbitrari imposti a questo diritto.
Eventi come quello del SalTo ci permettono quindi di guardare in modo diverso all’assetto giuridico italiano, di guardare con occhio più critico ai costumi socio-politici dell’Italia contemporanea, ponendoci di fronte a quesiti sulla relatività della legge, sulla sua validità, sulle sue contraddizioni. Ulteriori dubbi piovono sul sistema scolastico italiano, sullo stato della cultura del Bel Paese, sulla capacità critica dei cittadini, sulla necessità di risposte concrete da parte di una politica la cui assenza ha giocato un ruolo determinante nei rigurgiti di matrice fascista e comunista degli ultimi anni.
Anche se indirettamente, il Salone Internazionale del Libro di Torino 2019 sta già fornendo una prova di come la cultura possa alimentare il dibattito politico in Italia, di quanto la necessità di investire sulla formazione sia fondamentale e di come la memoria, impressa sulle pagine dei libri, sia un elemento centrale nella salvaguardia dell’esperienza, della storia, che dovrebbero farci comprendere e ricordare gli errori e gli orrori del passato, permettendoci di leggere il presente in maniera più consapevole ed evitando di farci provare l’insana passione di ricadere nel baratro dei totalitarismi e della loro melensa e anacronistica apologia.