Km 0 – Alla (ri)scoperta del territorio

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Ormai da anni siamo abituati ad un mondo globalizzato, un mondo in cui possiamo trovare qualunque prodotto di qualunque Paese sempre disponibile nei negozi della grande distribuzione, tanto da non fare quasi più caso alla loro provenienza.

Ma ci siamo mai fermati un attimo a chiederci se tutta questa disponibilità abbia un costo?

Senza volerci addentrare nel tema dello sfruttamento della manodopera e dei posti di lavoro persi nei Paesi di origine di queste aziende, un costo altissimo viene pagato dall’ambiente.

Immaginate quanti km deve fare il materiale necessario per fare una maglia o un paio di pantaloni per arrivare, per esempio, dagli Stati Uniti al Vietnam e poi ritonare indietro, per essere poi distribuito nel resto del mondo. Provate a pensare quante tonnellate di CO2 vengono prodotte ogni anno per sostenere questo tipo di economia.

Anche se non ci pensiamo, o almeno non tutti, questo processo viene utilizzato anche per il settore alimentare, dove per accordi economici o leglislazioni più o meno scellerate, vengono importati prodotti della terra, che noi produciamo in abbondanza e di ottima qualità, da zone improbabili del mondo. La prossima volta che andate in un supermercato, provate a prestare attenzione al banco della frutta e della verdura e vi accorgerete di zucchine del Marocco, fagiolini dall’Egitto, limoni dalla Spagna e tante altre anomalie del genere.

L’idea del Km 0 nasce per principalmente per due ragioni:

– supportare i produttori locali, tagliando anche la catena di vendita, che per portare a noi un cespo d’insalata ad un prezzo concorrenziale, sottopaga la materia prima a chi la coltiva

– ridurre il trasporto, specialmente quello su gomma, quello che impatta maggiormente sull’ambiente insieme al traffico aereo

Per queste ragioni negli ultimi anni c’è stata una riscoperta ed una spinta verso questo nuovo mercato, che di nuovo ha ben poco, in quanto è quello che hanno sempre fatto i nostri nonni e che i nostri genitori ricordano, ma che la nostra generazione ha visto e vissuto molto poco. Prendere le uova fresche dall’allevatore del paese accanto, prendere la verdura e la frutta alla bancarella che si rifornisce dagli agricoltori che coltivano proprio a pochi km da casa nostra e di cui noi, forse, non conoscevamo neanche l’esistenza.

Dare attenzione a quelli che sembrano piccoli gesti e ben poca cosa, può resistutire valore e dignità a chi versa sudore nel proprio lavoro per far si che le nostre tavole siano sempre imbandite e inoltre possiamo anche aiutare in modo concreto l’ambiente, che ormai da tempo sta boccheggiando, soffocato dal nostro sfrenato consumismo.

In poche parole potremmo riassumere così: mangiare bene fa del bene

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