Comunicazione e Potere: quando si instaura la social-crazia

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In un precedente articolo si è accennato alla deriva assunta dal dialogo politico, dalla tensione dialettica che mette a confronto avversari e fazioni politiche opposte.

Nel dialogo è auspicabile anche una fase di scontro, di acceso contrasto, che indica la presenza di due coscienze differenti che cercano di incontrarsi e di far prevalere le ragioni di una o dell’altra parte, ma che, inevitabilmente, finiscono per fondersi in modo più o meno evidente: lo scontro, soprattutto quello politico, finisce per tramutarsi in incontro e creare una sintesi delle visioni che si sono contese la rispettiva supremazia.

Tuttavia il confronto a cui si assiste oggi assume toni accesi e le stesse dinamiche di scontro di un dibattito politico serio e di ampia portata, ma dimostrando di non possedere né il carattere eminentemente politico né l’apertura mentale e le capacità di un’azione ben mirata a risollevare le sorti italiane.

La politica di oggi sembra aver abdicato ai dibattiti accesi sui programmi, propendendo per attacchi sull’etica, sulla personalità del leader e dei suoi gregari, ma senza focalizzare l’attenzione su un argomento di natura politica, analizzandolo in modo approfondito e con sguardo più tecnico.

Come si era detto nel precedente articolo, l’abbassamento della qualità del dibattito politico ha contribuito in parte a riavvicinare i governanti all’elettorato, ma le grettezze, il disinganno delle legislature passate e la disillusione del cambiamento degli ultimi governi, hanno generato conseguenze opposte se non peggiori, come potrebbe essere il fanatismo di alcune frange dell’elettorato oggigiorno.

Il gioco politico si è spostato sulla comunicazione semplice ed immediata, consapevole di come essa abbia rivestito un ruolo centrale nella storia politica del nostro Paese.

Già nel Settecento, durante l’Illuminismo, l’opinione pubblica aveva assunto un peso non indifferente agli occhi dei regimi assoluti, tanto da spingere i sovrani a bandire opuscoli e libelli che fomentavano i venti di rivoluzione e cambiamento che si stavano sollevando in Europa, e che sarebbero culminati nella Rivoluzione Francese del 1789. Questa data rappresenterà l’inizio di una nuova pagina di storia, permesso sia dal furore del popolo, ma anche dai primi effetti sortiti dai salotti illuministici, che ebbero il merito di aver aggregato interessi e alimentato il dialogo, aver fatto circolare e sviluppare idee, nuovi progetti e opportunità.

Senza risalire troppo indietro nel tempo, se si considera l’inizio del Novecento, il Secolo Breve di Eric Hobsbawm, è con la propaganda di arruolamento durante la Prima Guerra Mondiale che si inizia a percepire l’importanza della comunicazione e del peso che questa può rivestire nella vita quotidiana dei cittadini.

Durante la Prima Guerra Mondiale la pubblicità e la retorica interventista degli Stati che furono coinvolti dal Grande Conflitto aveva colpito nel segno, fomentando e alimentando il nazionalismo, retaggio e deriva dei sentimenti patriottici del Risorgimento europeo.

Noto manifesto di arruolamento USA durante la Prima Guerra Mondiale

Ma l’acme dell’uso della comunicazione si ebbe tra gli anni Venti e la fine degli anni Quaranta, quando la macchina della propaganda politica riuscì a mantenere in piedi vari sistemi totalitari (Fascismo, Nazismo, Franchismo, Comunismo e loro varianti), incensando le figure dei leader carismatici e mistificando la realtà. La comunicazione fu utilizzata come un velo che avvolgeva i cittadini, copriva loro gli occhi e creava distanza tra la realtà della condizione civile, economica e politica del Paese e la percezione che se ne aveva.

La propaganda fu un mezzo utilissimo ai totalitarismi per sedare le coscienze e ottenere il controllo delle masse, avvinghiandole in una vera e propria morsa psicologica.

L’industria delle immagini, delle raffigurazioni sui manifesti propagandistici, la commissione di opere architettoniche imponenti, rappresentavano una dimensione simbolica che stordiva e attirava gli elettori, relegandoli sotto la campana di vetro imbastita dal regime totalitario di turno, per mantenere il controllo completo sulle masse.

Locandina di propaganda italiana sull’alleanza con la Germania nazista

Un potere che è inviso all’autorità, ma che poteva e può esserne asservito, è la stampa. Walter Lippmann, giornalista e politologo statunitense (1889-1974), parlando della stampa come quarto potere aveva considerato che chiunque controllasse questo media fosse in grado di veicolare le notizie, potendo trasmettere una determinata visione della realtà circostante. Le immediate conseguenze che si potrebbero dedurre sono che, azioni come l’omissione di particolari notizie o la focalizzazione su determinati aspetti, potevano e possono contribuire a denigrare o sostenere determinate politiche e dunque specifiche visioni del mondo e indirizzi ideologici. A questi aspetti si aggiungeva la catalizzazione dell’opinione pubblica su specifiche tematiche, distogliendo l’attenzione da temi molto più importanti, rimasti in sordina.

Walter Lippmann

Al giorno d’oggi, possiamo affermare di trovarci in un’epoca di social-crazia, dove influencer e politici che si improvvisano capi popolo del web riescono a bypassare il mezzo stampa (la stampa avversaria, ovviamente), e creano un rapporto più diretto con la base elettorale. La narrazione della sfera privata e dei collegamenti con la vita politica del Paese sono il bigliettino da visita che ogni politico si fabbrica da sé quotidianamente. I social, utilizzati opportunamente da esperti del settore, riescono a sondare gli umori del pubblico di seguaci e fan, permettendo la raccolta di dati che possono aiutare nella messa in atto di politiche volte a riscuotere consenso, quindi voti, e di conseguenza le tanto demonizzate “poltrone”.

La social-crazia, se da un lato si dimostra un ottimo mezzo per far avvicinare il vasto pubblico alla politica e avere un rapporto più diretto con il pensiero di chi governa, dall’altro mette in luce aspetti che sono determinanti per la salute della partecipazione attiva alla politica del Paese.

Se i social e il web in genere riescono ad aggregare soggetti tra loro geograficamente distanti, un loro uso smodato può allontanare dalla “piazza”, termine con cui si vuole identificare l’Agorà dell’Antica Grecia, luogo dove gli individui si incontravano per intavolare dibattiti e prendere decisioni pubbliche insieme.

Inoltre, i social divengono un ricettacolo di fake news, minaccia tra le più avvertite in questi tempi in cui il vero e il falso si confondono, inducendo spesso in errore anche gli internauti più attenti, e che quindi vengono a contatto con elementi che possono sviare dalle proprie convinzioni solo sulla base di menzogne.

L’implementazione di contenuti multimediali, quali foto e video, annullano l’importanza del testo che deve essere breve, appiattendo il discorso politico e relegandolo alla sfera verbale, sicuramente più fluida e meno legata a severe regole di stile, e forse per questo più immediata, diretta a coinvolgere il più vasto pubblico possibile. Per fare tutto questo il linguaggio viene spogliato di ogni orpello stilistico, viene ridotto all’osso e spesso si utilizzano termini presi in prestito da espressioni familiari o di uso corrente. Le risposte e i programmi vengono talmente sfrondati di argomentazioni e contenuti tanto da divenire slogan, risposte semplici e immediate di cui però, a ben guardare, non se ne intravedono solide prospettive, ferree motivazioni che ne suffraghino la validità o che le facciano accettare.

Anche per questo motivo il mondo si trasforma in una faida tra fazioni, in un gioco a squadre in cui si configurano un Noi, gruppo politico che è dalla parte del Vero e del Giusto, e gli Altri, avversari da annientare senza ricercare un dialogo, ritenuti nemici da scalzare dalle posizioni nevralgiche, per assumere una posizione di preminenza, con il solo scopo di imporre le proprie ragioni credute giuste, a torto o a ragione.

La razionalità crolla dinanzi alla possibilità di nascondersi dietro l’anonimato di una tastiera o dal senso di appartenenza a un gruppo nutrito di individui, e il mondo viene dipinto a tinte nere e bianche, necessario affinché la comunicazione sui social sia efficace e metta in contrapposizione il Noi e gli Altri, in una visione manichea che mette l’elettore dinanzi a un aut aut: o noi, o il nulla degli altri.

L’ambiente politico, sempre più social, sembra non lasciare spazio alle sfumature che ogni situazione può presentare, cancellando l’opportunità di un dialogo articolato e che tenga in considerazione la complessità di ogni tema. Questo modus operandi porta alla cecità in termini di pianificazione e strutturazione di proposte lungimiranti che possano apportare veramente del bene alla collettività, altrettanto lobotomizzata dal bombardamento di slogan, commenti e condivisioni tempestive a catena, che non lasciano spazio a momenti di raccoglimento e di riflessione.

Inoltre, questa contrapposizione, fomentata perseguendo solo un utile personale di tipo politico (il raggiungimento del posto in Parlamento), rende la politica vittima di sé stessa, conducendo a uno status di ingovernabilità, con l’impossibilità di raggiungere una maggioranza dovuta alle alleanze di comodo che mostrano successivamente il loro vero volto opportunista e dannoso per la corretta amministrazione del Paese.

Solo riappropriandosi della propria identità e del proprio spirito critico e utilizzando i social in modo corretto, senza farsi utilizzare o farsi abbindolare dalle tecniche comunicative sottili, il dibattito politico può trovare un nuovo sano punto di partenza in internet, creando un’Agorà immateriale e che potrebbe trasformarsi, come accaduto durante la Primavera Araba (ribellioni maghrebine durante il 2010-2011), in un nuovo punto di incontro tra individui. Certo, senza sfociare nella rivoluzione violenta, ma riappropriandosi degli spazi di dialogo e di critica costruttiva, che sono le armi più potenti che intimoriscono la politica e che fanno crollare i castelli sulle nuvole prodotti dalle risposte troppo semplici e interessate di ogni politico che ne faccia uso.

Primavera araba

Antonino Mangano

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